Attenti agli hashtag!

di ilaria iaquinta

 

 

I social media sono la nuova patria della pubblicità. Il grande pubblico, target goloso di ogni campagna, ormai non si raggiunge più soltanto attraverso televisione, ma passando per Instagram, Facebook, e via dicendo. I testimonial hanno lasciato il passo agli influencer che, forti di ampio seguito sui social, influenzano i comportamenti di acquisto dei seguaci. La suggestione, dietro ai post e alle storie di questi personaggi, è che il messaggio sia più autentico, che risulti come il consiglio di un amico, ma la realtà è che è studiato a tavolino e oggetto di contratti che lasciano poco spazio all’improvvisazione. Esistono anche regole precise da seguire per garantire la trasparenza dei messaggi pubblicitari, pena sanzioni ingenti: il Codice del Consumo e i numerosi strumenti interpretativi emanati negli ultimi anni, tra cui la Digital Chart dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria e le comunicazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm). Tuttavia, quello dei social è un mondo in divenire ed è facile incappare in fattispecie non normate. Questo è quanto accaduto ad esempio a British American Tobacco (Bat) Italia.

 

La vicenda

Il 31 maggio scorso, a seguito di una segnalazione dell’Unione Nazionale dei Consumatori (UNC), l’Agcm, ha avviato un’istruttoria nei confronti di Bat Italia e degli influencer Stefano De Martino, Cecilia Rodriguez e Stefano Sala per presunta pubblicità occulta.

In particolare, l’Autorità ha contestato una serie di post pubblicati dagli influencer in questione su Instagram che, avvalendosi della strategia di marketing “call to action”, invitavano i follower a pubblicare contenuti con tag e hashtag collegati alla campagna pubblicitaria di Glo Hyper, un dispositivo prodotto e commercializzato dalla società. I contenuti migliori sarebbero poi stati ripubblicati sui loro profili e su quello di Glo Hyper.

Questa condotta – secondo l’Agcm – ha amplificato l’effetto pubblicitario del marchio attraverso dei post la cui natura commerciale non era chiaramente riconoscibile, infrangendo le previsioni degli articoli 20 e 23 del Codice del Consumo. Nei contenuti in questione non erano infatti presenti avvertenze grafiche o testuali, come #adv o #sponsoredby, che consentissero di identificare la finalità promozionale. L’inserimento di hashtag specifici, che gli influencer avrebbero dovuto richiedere esplicitamente ai follower, avrebbe garantito il riconoscimento della finalità pubblicitaria dei contenuti, che deve sempre essere chiara sui social media.

Si è trattato, spiega a MAG Andrea Di Paolo, responsabile affari legali e regolatori di Bat per il Sud Europa di una «fattispecie inedita nel panorama italiano ed europeo, le cui censure non hanno registrato sino a oggi precedenti. Se era chiaro l’obbligo dell’uso degli hashtag pubblicitari per gli influencer, poiché ricevono un compenso economico per i loro post, non era definito che anche i follower dovessero inserirli in risposta a delle “call to action”». Un aspetto, quest’ultimo, che l’autorità ha chiarito nero su bianco nella sua decisione: «Le modalità di identificazione di una comunicazione commerciale su internet, tramite per esempio l’utilizzo di hashtag quali #adv o #sponsoredby, rappresentano un utile mezzo di riconoscimento del messaggio pubblicitario, sia quando questo è promosso (a monte) da personaggi con numero più o meno consistente di follower – influencer e micro-influencer – sia allorquando il messaggio provenga (a valle) da parte di un utente comune, invogliato a postare tali contenuti in cambio di una utilità, ancorché di natura non direttamente economica, come quella di ottenere maggiore visibilità in rete».

 

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