Un’azienda su tre ha allentato la presa sui programmi D&I
Il Covid-19 ha avuto un impatto negativo sui programmi di diversità e inclusione di un’azienda su tre.
Lo rileva una ricerca condotta da Ius Laboris – alleanza internazionale di specialisti in diritto del lavoro diffusa in 59 Paesi nel mondo – in collaborazione per l’Italia con studio specializzato in ambito labour Toffoletto De Luca Tamajo.
In particolare, osservando l’andamento delle attività di promozione della diversity & inclusion (D&I) nelle imprese di tutto il mondo emerge infatti che il 33% delle organizzazioni ha risentito profondamente della pandemia, tra queste un ulteriore 30% si aspetta ricadute anche in futuro.
«Lo studio evidenzia come l’impatto dell’emergenza Covid sia stato minore nelle aziende più grandi e strutturate rispetto alle più piccole e come tale impatto sia sensibilmente variabile tra i diversi Paesi. Una differenza sostanziale deriva inevitabilmente dall’organizzazione e dalla cultura aziendale. L’implementazione di policy è sicuramente agevolata nell’ambito di organizzazioni a respiro multinazionale, che hanno la forza e le capacità di diffondere e sostenere pratiche e principi virtuosi a livello globale», ha commentato in una nota Aldo Palumbo, partner dello studio e membro dell’associazione Parks Liberi e Uguali.
Guardando infatti alla dimensione delle aziende il 29% delle imprese con meno di 500 dipendenti conferma che l’emergenza sanitaria ha avuto un impatto negativo sulle iniziative di inclusione, mentre il 16% delle aziende con più di 10mila persone in organico dichiara di aver notato degli effetti positivi. Rispetto al futuro prossimo, il 21% del campione totale intervistato ritiene che i temi D&I diventeranno sempre più centrali per il direttivo aziendale.
Per contrastare le discriminazioni sul lavoro non bastano però solo i programmi aziendali, ma servono anche delle normative nazionali utili a favorire l’inclusione e il rispetto delle diversità. «Saranno agevolati i Paesi che hanno una legislazione chiara in termini di parità tra generi, religioni, etnie e disabilità. L’Italia, a livello normativo, è tra questi tanto da inserire il principio di uguaglianza sia nell’articolo 3 della Costituzione che, specificatamente in ambito lavorativo, nell’articolo 37», spiega la partner dello studio Emanuela Nespoli.
Nel complesso, l’81% dei Paesi analizzati ha incluso nel proprio ordinamento giuridico dei principi contro la discriminazione a livello di norme costituzionali e/o nell’ambito di leggi speciali. «L’Italia ha una legislazione molto articolata in tema di tutela contro le discriminazioni che trova fondamento nei principi della nostra Costituzione e si sviluppa in una serie di provvedimenti legislativi tra i quali ricordiamo il codice delle Pari Opportunità del 2006. Tuttavia, una normativa, per quanto all’avanguardia, non può garantire che tale approccio si rispecchi anche nella cultura aziendale e nella vita sociale del Paese, ci vuole un cambio di mentalità generalizzato», conclude l’avvocata.