Diversità di genere, dovremmo provare a cambiare la cultura
Quando si parla di diversità di genere è difficile trovare un’eccellenza. Nemmeno gli Stati Uniti, che spesso consideriamo un modello, lo sono. Restringiamo lo sguardo al comparto legale. Il rapporto annuale “Top Firms for Gender Equity and Family Friendliness Report” della Yale Law Women testimonia che nonostante gli sforzi degli studi legali, l’uguaglianza di genere è ancora lontana nella professione forense.
Più della metà degli studenti di legge statunitensi è donna, tra queste solo un terzo va a lavorare in un grande studio e meno di un quinto diventa partner. La rappresentanza femminile negli studi d’affari si restringe infatti progressivamente man mano che si sale di seniority. Se tra gli associate le donne sono il 45% del totale, tra i salary partner scendono al 30% e tra gli equity crollano al 20%. Il Covid-19, come se non bastasse, ha peggiorato la situazione.
Soluzioni? Una ricerca di Thomson Reuters pubblicata a novembre scorso sostiene che, più che continuare a creare reti di sole donne, la chiave per migliorare la diversità sia abbracciare il lavoro flessibile. Chiaramente non cita solo quello, ma la necessità di rivedere policy e processi, dalle assunzioni alle promozioni, dai compensi all’assegnazione delle funzioni e dalla composizione dei team al mobbing.
Ma credo serva anche un cambio di mentalità e questo davvero richiede il contributo di tutti e non solo di chi sta ai vertici. La scorsa settimana ci siamo indignati per il gesto maschilista di Erdogan di negare una sedia ad Ursula von der Leyen. Giustamente direi. Ma poi ci siamo chiesti se quello che facciamo ogni giorno in studio o in ufficio non metta all’angolo qualcuno? Quando ci metteremo in testa che i divari, di ogni tipo, sono il prodotto di un problema culturale e che a fare la cultura siamo noi forse capiremo che ogni singola nostra azione può fare la differenza…