Il (lungo) cammino della legge contro l’omotransfobia
Sono passati quasi due mesi da quando il “ddl Zan” è stato approvato alla commissione giustizia della Camera. Si tratta del disegno di legge contro l’omotransofobia che prende il nome dal suo primo firmatario: il deputato del Partito Democratico Alessandro Zan. Il cammino verso l’approvazione è però un percorso a ostacoli ancora tutto in salita, come raccontano a MAG l’avvocato Vincenzo Miri (nella foto a sinistra) e l’avvocata Francesca Rupalti (nella foto a destra), rispettivamente presidente e vicepresidente di Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, un network di giuristi e professionisti che insieme svolge attività di prevenzione, tutela e promozione nel campo della lotta alla discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere.
In Italia a una legge del genere si lavora da quasi 25 anni – spiegano – senza risultati significativi. La prima proposta risale al 1996. Dieci anni dopo arrivarono anche le raccomandazioni dal Parlamento europeo, ma senza alcun effetto. Un piccolo passo in avanti, invece, ci fu alcune legislature precedenti, con la c.d. “proposta Scalfarotto”, il testo era stato approvato alla camera per poi, però, arenarsi al senato. L’attuale ddl che si compone di nove articoli che recepiscono le precedenti esperienze: proprio Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford ha dato nel corso del tempo più volte pareri tecnici a riguardo e partecipato a diverse tavole di lavoro. Al momento, il ddl è incanalato a Montecitorio e ostacolato da una dura opposizione che, oltre ad aver depositato oltre 800 emendamenti, ha presentato due eccezioni di costituzionalità.
«La discussione riprenderà il prossimo 13 ottobre con queste due questioni pregiudiziali di costituzionalità», spiega l’avvocato Miri. Il disegno di legge infatti da un lato è stato letto come una richiesta di tutela e dall’altro come un rischio per la libertà di espressione. L’Associazione, che è apolitica e apartitica, «spinge affinché il legislatore approvi una riforma necessaria, che però non può accettare compromessi a ribasso sulla pelle delle persone Lgbt», continua il presidente, spiegando che l’associazione ha depositato in commissione giustizia alla Camera un documento con la loro posizione in merito. Infatti, «se dovesse passare una delle due questioni, per i quali è stato richiesto il voto segreto la legge si affosserà per l’ennesima volta. Se invece si superasse, il percorso, considerati gli emendamenti, non sarà del tutto semplice, ma esistono buoni margini».
Cosa prevede il ddl
Nel dettaglio la riforma agisce in due direzioni: da un lato la modifica del codice penale e dall’altro interviene sulla legge Mancino (ovvero il decreto legge n. 122 del 26 aprile 1993 che modificò l’impianto della cosiddetta legge Reale del 1975). Sul codice penale «si agisce sugli articoli 604-bis e 604-ter, ovvero le vecchie disposizioni che si ritrovano all’articolo 3 della legge Mancino-Reale e che da pochissimo tempo sono stati riportarti all’interno del codice in un’ottica di ‘riserva di codice’ e cioè la recente volontà di avere tutte le normative riunite in maniera organica», spiega a MAG l’avvocata Francesca Rupalti, specializzata in diritto penale. Al 604-bis, continua la professionista, si aggiunge alla fattispecie di istigazione a commettere o di commissione di atti di discriminazione per motivi «razziali, etnici, nazionali e religiosi» le ipotesi di discriminazione fondata «sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sul sesso».