Se nel 2018, secondo l’Eurostat, l’Italia si collocava appena al 22° posto nell’Unione europea per l’impiego di
smart working nel settore pubblico e in quello privato, adesso le cose sono nettamente cambiate. E nel giro di pochissimo tempo. Infatti, seppur sia stato fortemente spinto dalle circostanze, lo smart working sembrerebbe
destinato a restare anche dopo l’emergenza sanitaria. Questo almeno è quanto emerge dalla survey promossa da Fondirigenti che ha coinvolto complessivamente 12mila contatti presenti nel database del fondo interprofessionale promosso da Confindustria e Federmanager, attivo nella formazione continua dei dirigenti d’impresa.
I risultati
Dalla survey emerge che in futuro sei dipendenti su dieci saranno in smart working, contro il 46,19% degli attuali. Dalle risposte emerge la percezione di poter aumentare questa percentuale rispetto al periodo precedente il Covid-19 fino al 58,6% (+12%), per salire al 60% se si parla di grandi aziende. In particolare, prima dell’emergenza sanitaria, le aziende intervistate le quali avevano attivato lo smart working erano il 39% al Nord, il 42% al Centro e il 36% al Sud. Quasi un lavoratore su tre (39%) era già operativo in modalità smart.
Questo scenario è stato stravolto dall’emergenza, con l’attivazione del lavoro agile da parte del 97% delle imprese coinvolte nell’indagine, l’80% delle quali ha impiegato nella nuova modalità oltre la metà dei lavoratori, senza rilevare particolari differenze o difficoltà di adattamento tra lavoratori. Per favorire il lavoro agile, poi, le imprese hanno dato la priorità alla messa a disposizione dei collaboratori di adeguate dotazioni tecnologiche per proseguire con sistemi per condividere la rete, piattaforme per riunioni virtuali e al contempo si sono orientate verso una nuova organizzazione del lavoro.