Compliance, questione etica

Si scrive compliance si legge etica. Ciò che un tempo indicava semplicemente l’adempimento a degli obblighi normativi – complice l’acceso interesse dei mercati e la sempre maggiore responsabilità sociale affidata alle aziende – oggi ha assunto un significato a tutto tondo. Essere compliant per le imprese significa rispettare principi etici, garantire integrità a investitori e clienti. In Leonardo, l’integrità è il valore attorno al quale si è costruita la quarta edizione del “Compliance Council”, l’iniziativa annuale promossa dalla società articolata in giornate di confronto e approfondimento nei vari siti italiani delle divisioni del gruppo, conclusasi a Roma il 30 ottobre scorso con una giornata istituzionale, organizzata dalla direzione del general counsel, a cui inhousecommunity.it ha partecipato (clicca qui e leggi la news dedicata all’evento).

«La compliance è uno stato normale della mente. Se ci pensiamo, non è altro che l’adozione di comportamenti coerenti con le regole date in un determinato contesto», dice a MAG Andrea Parrella (nella foto), group general counsel di Leonardo a margine dell’incontro.

 

Quale è il raggio di azione della compliance in Leonardo?

È un raggio d’azione globale che attraversa trasversalmente la società e l’intero gruppo di controllate.

 

Come è strutturata la funzione?

Formalmente è inquadrata in un’unità organizzativa che guarda a due livelli: la business compliance, relativa ai processi di selezione degli advisor e dei promotori commerciali e la trade compliance, attiva su tutti i processi di licensing relativi all’import-export di materiali dual use o di armamento. Esiste poi una compliance in senso lato che permea l’intera azienda: è compliance tutto ciò che è gestito nell’ambito dei presidi anticorruzione, un fil rouge che unisce e attraversa il codice anticorruzione, la carta dei valori e il codice etico.

 

La compliance è integrata dunque… Perché avete optato per un sistema integrato?

Ce lo ha fortemente richiesto il mercato. Nel 2013, abbiamo avviato un percorso che ha seguito tre linee direttrici: l’individuazione di best practice in materia di compliance a livello internazionale, la loro traduzione in regole e procedure interne – come l’adozione del codice anticorruzione, l’emanazione delle linee guida in materia di whistleblowing, la nascita dell’organo di coordinamento e consultazione per la prevenzione della corruzione, composto da presidenti di vari organi societari, che rappresenta un unicum nel panorama italiano e internazionale – e l’introduzione di processi di formazione continui nei confronti di tutta l’azienda nel tentativo di disseminare la cultura della compliance.

 

Un tentativo riuscito?

Abbiamo trovato una buona reattività all’interno dell’azienda. C’era un forte desiderio di riscatto dopo alcuni scandali che avevano colpito il gruppo Finmeccanica nei primi anni del 2010 e che avevano frustrato un sentimento comune positivo (i processi nel 2012 e nel 2013 per episodi di presunta corruzione internazionale che avrebbero riguardato attività di Finmeccanica a Panama e in India poi conclusisi sei anni dopo con sentenze di assoluzione in via definitiva da parte della Cassazione, ndr). Quindi abbiamo trovato un terreno fertile all’interno dell’azienda affinché questa cultura venisse effettivamente assorbita come un fatto normale e naturale.

 

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Gennaro Di Vittorio

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