Manager di Piazza Affari: ecco quanto guadagnano
Quanto guadagna in media un ad di Piazza Affari? Oltre 1 milione di euro.
Per la precisione 1.071.747 euro è la remunerazione monetaria totale media per il 2017 di un amministratore delegato di Piazza Affari. Un dato in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente (-1,9%). Un direttore generale invece guadagna mediamente 739.657 euro (cifra in crescita di 18,6 punti su base annua). Un dirigente con responsabilità strategiche (cfo, direttore commerciale, operations, di divisione) guadagna 467.279 euro.
Un peso sempre più rilevante è dato alla componente variabile su quella totale che raggiunge il 43,5% per gli ad, il 41,5% per i dg e il 40% per drs con progressivo spostamento su quella di medio-lungo periodo e il 90% di aziende che dichiara di adottare condizioni di accesso ai piani di incentivazione (obiettivo cancello/gate, livelli minimi di performance, threshold).
Questo quanto emerge in sintesi dalla nona edizione del Rapporto Executive Compensation elaborato da OD&M Consulting, società di Gi Group specializzata in HR Consulting, esaminando le politiche retributive delle 237 società quotate a Piazza Affari in base ai bilanci depositati nel 2018 (ma riferiti all’esercizio 2017) e restituendo dati per 2.400 titolari.
Le remunerazioni più elevate per gli ad si registrano nelle grandi aziende (1.626.544 euro in imprese con ricavi e capitalizzazione superiori a 500 milioni) in crescita rispetto allo scorso anno e 3,2 volte superiori a quelli delle piccole rispetto alle quali aumenta la distanza soprattutto per la componente variabile; al top anche gli ad nella finanza (1.489.684 euro) e nel segmento FTSE MIB (1.840.772 euro) anche se in flessione, al contrario alla dinamica del segmento Star.
Torna, quindi, a crescere il gap tra le piccole e le grandi aziende anche se resta inferiore ai valori del 2015 pari a 4,6 volte. Sempre nelle grandi anche i Dirigenti con Responsabilità Strategiche hanno visto aumentare i compensi rispetto allo scorso anno per un differenziale che raggiunge le 3,7 volte (559.542 contro i 152.972 euro).
In termini di Compensation Mix, si conferma l’attenzione da parte delle aziende nell’impostare politiche di remunerazione “sostenibili” nel tempo, assegnando nei pacchetti remunerativi di tutte le figure esecutive un peso rilevante alla componente variabile che supera nel complesso il 40% con in crescita in particolare quella di medio-lungo periodo (al 20%) sempre più legate alle performance; circa il 18% delle aziende indagate non ha raggiunto i risultati previsti di budget e di conseguenza non ha erogato bonus.
I piani di incentivazione di breve (STI) e medio/lungo periodo (LTI), sono sempre più legati a obiettivi di performance (KPI), tra i più utilizzati tipicamente EBIT/EBIDTA e Posizione Finanziaria Netta, mentre quelli senza condizione di performance sono scomparsi.
I Piani di LTI, in particolare, sono in crescita per tutte le figure di vertice e si è passati da un coverage del 54% nel 2014 al 72% del 2017.
Tra i piani di medio lungo periodo si evidenzia l’utilizzo sempre più diffuso di piani misti “cash + equity based”, mentre tra i piani Equity Based gli strumenti più utilizzati sono le Stock Grants, che per il terzo anno consecutivo superano di gran lunga le Stock Option.
Inoltre, il 90% delle aziende dichiara di adottare condizioni di accesso ai medesimi (obiettivi cancello/gate, e livelli minimi di performance, threshold) e prevede CAP (tetti ai valori massimi di incentivi erogabili), il 70% delle aziende prevede meccanismi di clawback (clausole di azzeramento o restituzione) sia per i piani di breve che di lungo periodo ed il 50% prevede clausole di lock up.
Infine, rispetto alle clausole accessorie si rileva una maggiore evidenza della presenza e non presenza nei pacchetti remunerativi; tra quelle più diffuse i patti di non concorrenza, specie per i DRS (29,2%) e le indennità per cessione anticipata del rapporto/mandato in aumento previsti principalmente per gli AD (24,9%).