Avvocati che odiano i general counsel

Sono passati cinque anni da quando la crisi ha cominciato a mordere anche il business della consulenza legale d’affari. Cinque anni che sono bastati a cambiare il volto di un mercato dorato. Cinque anni, durante i quali molti studi hanno mostrato capacità di resistenza. Non solo perché non hanno chiuso i battenti, ma anche perché come una casata nobiliare a rischio decadimento, nel bel mezzo della tempesta, hanno continuato a ostentare opulenza come se nulla fosse. Ma, sono almeno cinque anni che anche gli avvocati d’affari sono finiti in un turbine fatto di caccia ai clienti, lavori a prezzi stracciati e rincorse per la liquidazione delle fatture. E adesso cominciano a non farcela più. A non potersi più permettere un certo tenore di vita professionale. Una certa immagine, che più di mille lauree e master, serviva a chiarire a clienti e colleghi la differenza che passava tra l’essere un vero business lawyer e un azzeccagarbugli qualunque.

IL DITO PUNTATO CONTRO I GENERAL COUNSEL

Di questa pressione asfissiante, che ha inquinato il clima all’interno delle grandi law firm italiane e internazionali, molti avvocati incolpano loro: i general counsel. Ovvero i responsabili delle politiche legali delle aziende clienti, quelli che hanno cominciato a trattare i consulenti come se fossero fornitori qualunque, quelli che hanno saputo fare leva sulla concorrenza per ottenere pareri e contratti a prezzi da saldo, nella convinzione che la spesa più bassa corrisponda a quella più giusta.

MA TANTI AVVOCATI SI SONO PRESTATI AL GIOCO

Il problema esiste. Ma gli avvocati che puntano il dito contro i giuristi d’impresa dovrebbero fare anche un po’ di autocritica. Visto che in tanti hanno accettato di lavorare sotto costo (per non dire quasi gratis) pur di sottrarre clienti ai propri competitor, in attesa di tempi migliori. Si racconta di studi che hanno sottoscritto accordi per l’assistenza continuativa di grossi gruppi della grande distribuzione per 2.000 euro annui. La forza di dire “no” e di porre un limite allo svilimento del valore del proprio ruolo professionale è mancata del tutto e oggi si pagano le conseguenze. 

L’INSOFFERENZA DEI GIOVANI PARTNER

I più insofferenti, in questo contesto, sembrano i soci più giovani. Quelli che hanno fatto in tempo a sentire il profumo dei tempi d’oro ma che, di fatto, da quando hanno raggiunto il traguardo della partnership sono alle prese con la ricerca spasmodica del fatturato e del profitto. Sono loro i più arrabbiati. I forzati del budget. Quelli che mettono in correlazione l’impegno e l’entusiasmo professionale con l’ammontare delle parcelle. E non esitano a sventolare in faccia ai clienti la possibilità di lasciare a casa i collaboratori con cui sono abituati a lavorare, quelli che li capiscono “al volo” ma che allo studio costano troppo. Tuttavia, sono proprio loro quelli che dovrebbero sforzarsi di immaginare un nuovo assetto per le strutture in cui operano per farle diventare nuovamente profittevoli. Perché ci si può lamentare quanto si vuole. Ma indietro (ai tempi in cui questo era un mercato d’oro) non si torna.

Gennaro Di Vittorio

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