Cari avvocati d’affari, un’azienda su due non sa che esistete

di nicola di molfetta

Troppi avvocati. Troppa concorrenza. Quante volte abbiano sentito questi argomenti ricorrere nei discorsi di chi prova a spiegare quali siano le ragioni della crisi che colpisce il mercato della consulenza legale? Infinite. E quante volte abbiamo pensato che fossero ragionevoli? Molte. Ma la verità non è questa. Almeno stando a uno dei dati emersi nella ricerca curata da Eumetra su “La percezione dell’Avvocato d’affari e del Giurista d’impresa presso grandi aziende e Pmi” presentata durante il convegno “2020 la sfida delle professioni legali” organizzato con Aigi ed Eversheds.

Secondo i risultati dell’indagine di Eumetra, infatti, il 44% delle grandi aziende attive in Italia (con fatturato superiore ai 50 milioni di euro) nella gestione delle proprie attività non si avvale né di avvocati d’affari, né di giuristi d’impresa. Se poi si passa alle Pmi, allora si riscontra che più di un intervistato su due si limita a dire che tanto dell’avvocato d’affari, quanto del giurista d’impresa ha solo sentito parlare. Neanche si trattasse di figure mitologiche o leggende.

Questi dati chiariscono perché la litania dei troppi avvocati è ormai una canzone stonata, che non convince più di tanto. Se una percentuale così elevata di potenziali clienti dichiara candidamente di non aver mai utilizzato una di queste figure professionali oppure di averne solo sentito parlare, significa che c’è una fetta di mercato che ancora non viene sfruttata adeguatamente. Esiste, per dirla in altro modo, una domanda che fino ad oggi non è mai stata sollecitata dagli operatori del mercato dei servizi legali e che, con tutta probabilità, se stimolata produrrebbe mandati, incarichi e lavoro.

Il problema, che più volte abbiamo denunciato (si veda l’editoriale del Mag numero 27) è che questa fetta di mercato è abbandonata a se stessa, o per meglio dire, lasciata alla mercé di altre professioni concorrenti che più agevolmente hanno sviluppato una capacità interlocutoria in grado di intercettare il bisogno di assistenza e affiancamento da parte della spina dorsale imprenditoriale del Paese.

Gli avvocati tendono a cercare lavoro dove sanno già di trovarlo. Puntano a conquistare i mandati di clienti che lavorano già con i loro competitor. Cercano di inserirsi in un mercato che, erroneamente, immaginano rinchiuso all’interno di confini ben delineati. Invece, come si evince da questi dati, oltre le barriere c’è ancora molto valore da liberare.

C’è un salto culturale da compiere. E probabilmente la rincorsa va presa a partire dalle aule universitarie, dove si formano i giuristi di domani. I quali, tuttavia, vengono allevati in un contesto completamente avulso dalla realtà. In condizioni di totale inconsapevolezza. Convinti che “fuori” la professione si svolga ancora secondo rituali novecenteschi e totalmente impreparati alla sfida di una attività lavorativa che va organizzata e svolta con piglio imprenditoriale. Chiedendosi cosa cercano i clienti e ingegnandosi per rispondere a questa domanda in maniera efficace ed efficiente.

L’università, inoltre, dovrebbe far crescere anche la consapevolezza che la professione del giurista non si esercita solo nel libero foro, ma si può fare anche in azienda. E che anche qui, c’è un mercato che ha bisogni inespressi che vanno soddisfatti con un’offerta adeguata di professionalità al passo con i tempi.

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Gennaro Di Vittorio

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