Diesel vince contro i falsari in una causa di cybersquatting alla Corte federale di New York

Sembravano dei normali siti di e-commerce autorizzati a vedere i capi Diesel, utilizzando il nome del marchio nel dominio. Peccato però che si trattasse di vendite illegali che la Corte federale di New York ha deciso, perciò, di sanzionare per il reato di cybersquatting. Per la precisione, si tratta di ben 83 siti che facevano capo a soli 9 titolari ai quali ora spetterà risarcire l’azienda dell’imprenditore Renzo Rosso (nella foto) con due milioni di dollari. Non solo. La Corte ha inoltre ordinato la cessazione di ogni ulteriore commercio illegale, incluso l’impiego del marchio registrato Diesel, nonché il trasferimento a Diesel o la cancellazione dei domini incriminati e la distruzione dei capi contraffatti.  

Diesel è stata assistita dalla law firm americana Arent Fox Llp, con il partner Anthony Lupo, ma la maggior parte del lavoro è stata svolta in house. È stato infatti il dipartimento legale di Diesel, diretto dall’avvocato Stefano Iesurum, a seguire le attività che hanno portato all’individuazione dei siti a rischio. Il team di Diesel ha lavorato in coordinamento con la funzione legale di Otb, capeggiata dall’avvocato Paolo Quaini. 

“Abbiamo vinto un’altra grande battaglia, ma la guerra non è finita. Il mercato online è un’opportunità incredibile per tutti i brand e noi siamo stati tra i primi marchi di moda a riconoscerlo: abbiamo aperto il primo ecommerce diesel.com già nel 1996. Ma oltre alle opportunità ci sono anche grandi rischi: contrastare gli attacchi richiede un impegno costante, ma lo dobbiamo al nostro marchio e ai nostri consumatori”, ha commentato l’imprenditore. Per proteggere il proprio marchio dall’uso illecito e anche i consumatori da possibili truffe, Diesel ha, infatti, creato una task force che opera anche nei mercati offline.

Il ceo di Diesel Alessandro Bogliolo, parlando con il quotidiano La Repubblica, ha dichiarato che in questi mesi “il marchio ha affrontato ben 2.000 casi analoghi a quelli esaminati dalla Corte Federale di NY, oltre ad avere fatto richiesta a Google di delistare 60.000 url riconducibili a 373 siti dediti a cybersquatting e contraffazioni”.

 

 

Gennaro Di Vittorio

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