L’era del profitto responsabile

Società benefit al debutto in Italia. Di cosa si tratta? Sono aziende che, oltre a generare profitto, si preoccupano anche del benessere delle persone e dell’ambiente in cui operano. Con l’approvazione della legge di Stabilità (commi 376-384) è stata, infatti, introdotta anche nel nostro ordinamento questa forma giuridica. Un istituto molto diffuso negli Usa, dove è presente in 32 Stati, ma quasi sconosciuto da questa parte dell’oceano. L’Italia è, inoltre, il primo Paese in Europa a prevedere questa specifica ragione sociale che identifica le aziende che decidono di perseguire – oltre al profitto – anche il miglioramento dell’ambiente sociale e naturale. L’intento del legislatore è promuovere un salto di qualità nel modo di fare impresa, creando un nuovo paradigma che potremmo chiamare “del profitto responsabile”.

Una mission, questa, che si differenzia dalla corporate social responsability (csr) già praticata da molte società italiane ed estere. «Le aziende che decidono di diventare ‘benefit’ non possono limitarsi a destinare una parte dei loro utili per attività sociali. Essere una società benefit dovrebbe significare, infatti, cambiare il modo stesso in cui si gestisce la propria operatività», spiega Annalisa Dentoni Litta, partner dello studio legale Orrick che ha partecipato al gruppo di lavoro che ha curato la stesura della legge, guidato dal senatore Mauro Del Barba e promosso da Nativa, prima società italiana ad aver ottenuto la certificazione come B Corp (uno standard da cui ha avuto origine il concetto stesso di società benefit). «E per sancire – continua Dentoni – una tale trasformazione, la legge prevede che venga cambiato anche il proprio oggetto sociale e quindi lo statuto. In questo modo si vincolano gli amministratori (compresi quelli che la gestiranno in futuro) a scelte, non solo a favore dei soci, ma anche a beneficio della comunità e del territorio. Una possibilità che non è invece consentita nelle normali srl o spa».

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Gennaro Di Vittorio

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