Chi ha paura delle lobby?

Il primo disegno di legge presentato in parlamento risale al 1948. Da allora sono passati 68 anni e 58 nuove proposte di legge per regolamentare l’attività dei lobbisti in Italia senza che nulla cambiasse. A spingere (finalmente) la politica a intervenire ci è voluta, lo scorso 31 marzo, l’inchiesta di Potenza sulle estrazioni petrolifere in Basilicata che ha portato alle dimissioni della ministra Federica Guidi.

Così è ricominciato il percorso parlamentare del testo di legge a firma Luis Orellana (ex M5s e ora Per le autonomie) che si era arenato un anno fa e che prevede l’istituzione di un registro pubblico dei lobbisti, sanzioni e un comitato per il monitoraggio a Palazzo Chigi.C’è chi sostiene che i lobbisti di mestiere, quelli che non si sono mai nascosti ma hanno sempre svolto la loro attività apertamente, non aspettassero altro.

MAG ne ha parlato con Giampiero Zurlo (nella foto), fondatore, presidente e amministratore delegato di Utopia. Ma soprattutto lobbista di professione che definisce così il suo lavoro: «Il lobbying consiste nell’insieme delle attività professionali che hanno il fine di rappresentare degli interessi leciti nei confronti del legislatore e dei decisori pubblici in generale, con l’intento di influenzarne, in modo lecito, le scelte. Si tratta principalmente della trasmissione di messaggi e di contenuti sul presupposto che ogni decisore pubblico può decidere a favore della collettività solo se conosce i singoli interessi particolari che compongono l’interesse generale. Ed è naturale che i decisori pubblici non possano essere tutti esperti di ognuna delle materie in cui si legifera».

Ma non solo. Secondo il fondatore della società che si occupa, oltre che il lobbying, anche di relazioni istituzionali, comunicazioni e affari legali, si tratta di «un’attività propria di ogni sistema democratico evoluto che poggia sul diritto di manifestare e presentare gli interessi di ognuno al corpo legislativo e che trova direttamente nella costituzione il suo fondamento giuridico. È proprio l’articolo 50 della nostra Costituzione, infatti, a riconoscere il diritto di rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità».

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Gennaro Di Vittorio

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