Le quote rosa e gli “occhi del cuore” di Virginia Raggi
«Per me la legge sulle “quote rosa” rappresenta la definizione di una sorta di recinto, dentro il quale si è voluto circoscrivere la presenza femminile, perché questa avesse rappresentanza. Una legge fortemente discriminatoria. Una legge che non garantisce né democrazia né meritocrazia. È una legge che offende, in primo luogo, proprio le donne, e le relega in una visione anacronistica e primitiva. Io credo che la parità di genere vada promossa nella società. Serve una nuova visione culturale».
Sono le parole con le quali la sindaca di Roma, Virginia Raggi, è intervenuta all’Opening Ceremony della 19 esima Global WINConference, il forum mondiale che promuove la leadership femminile. Si tratta di parole dure che dovrebbero però essere supportate da fatti e dati. Elementi che invece sono mancati nel discorso di Raggi. La sindaca si è infatti limitata a una chiosa tanto poetica quanto inutile: «Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni, sosteneva Eleanor Roosevelt. E noi donne sappiamo guardare con gli occhi della bellezza. Sappiamo disegnare scenari innovativi e straordinariamente grandi. Giorno dopo giorno, sappiamo scrivere un diario sempre ricco di pensieri ed emozioni».
Personalmente sono stanca di chi critica senza proporre alternative valide. E disegnare scenari innovativi con gli occhi del cuore da scrivere sul proprio diario segreto non mi sembra poi una grande soluzione. La legge Golfo Mosca – quella che prevede quote di genere per i consigli di amministrazione e i collegi sindacali delle società quotate e partecipate pubbliche – è sicuramente migliorabile. Sappiamo infatti che pur avendo fatto aumentare la presenza femminile nei cda (29,75% contro il 7,4% del 2011), le donne continuano ad occupare posizioni meno importanti rispetto a quelle dei colleghi maschi. Altra criticità è poi il fatto che i nomi delle professioniste sedute nei board delle società italiane tendono a ripetersi spesso. Anzi: molto spesso. Si tratta di un fenomeno frequente anche tra i colleghi maschi.
E se da un lato può essere spiegato con la scarsità di figure preparate, dall’altro si scontra con l’alto numero di donne che negli ultimi anni hanno frequentato corsi per prepararsi a questo ruolo e che tuttavia non siedono ancora in nessun board. Ecco se una critica alla legge Golfo Mosca deve essere fatta, penso sarebbe utile partire da qui. Dai pochi nomi nei cda e dai tanti corsi e seminari che di fatto non hanno cambiato un paradigma maschile: quello del gruppo chiuso, della lobby. Della «bellezza dei propri sogni» parlerei, magari, la prossima volta.