Di disparità salariale, buoni esempi tedeschi e studi legali (italiani) virtuosi

Quarantaquattro per cento. È quanto vengono pagati, in media, in più i partner uomini degli studi legali statunitensi rispetto alle colleghe. Il dato è contenuto in un sondaggio sulle compensazioni degli avvocati condotto dalla società di ricerche legali Major Lindsey & Africa found. Tra le ragioni di questo divario, scrive la società di ricerca, il fatto che le donne sono meno brave a generare business.

Ma siamo proprio sicuri che sia questa la sola ragione? Se così fosse la differenza salariale tra uomini e donne dovrebbe esistere solo per quelle professioni e quei lavori in cui il guadagno è legato alla produttività. In realtà sappiamo che le donne continuano a guadagnare meno degli uomini in tutti i tipi di lavoro e in quasi tutti i Paesi del mondo.

In Germania, per esempio, dove le donne guadagnano il 7% in meno degli uomini, è stata introdotta proprio in questi giorni una legge per promuovere la parità retributiva. La norma non obbliga le aziende a pagare a tutti i dipendenti di pari livello la stessa cifra, ma prevede che le grandi aziende rendano pubblici i dati sulla media delle retribuzioni (a parità di posizione) di uomini e donne. Inoltre, per ogni offerta di lavoro, dovranno indicare la retribuzione minima.

E in Italia? Da noi le donne guadagnano in media il 7,3% in meno (dati Eurostat) rispetto ai colleghi uomini di pari livello e questo divario salariale interessa anche molti studi legali.

Ma non tutti. «Queste statistiche non trovano applicazione in Hogan Lovells», ha assicurato Leah Dunlop, responsabile del dipartimento corporate m&a italiano. «Se in passato – continua l’avvocata – si era portati a ritenere che le donne non fossero in grado di gestire mandati complessi con referenti uomini, dall’altra parte del tavolo, oggi le cose non stanno più così. I fatti dimostrano che non solo i soci donne sono capaci quanto gli uomini, ma hanno una pazienza e una caparbietà nel riuscire a concludere operazioni per il cliente».

 

 

Gennaro Di Vittorio

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