3 pregiudizi sul lavoro in house che rischiano di farti fare una scelta sbagliata

L’erba del vicino è sempre più verde. Un proverbio che vale per tutti quei legali che intrapredendo la carriera in house per sfuggire ai problemi incontrati come avvocati di studio. Non sempre però questa si rivela la soluzione migliore. La professione di legale d’impresa, come ogni altro lavoro, presenta infatti una serie di difficoltà e di ostacoli che possono essere superati solo se si è davvero convinti di questa scelta.

Corporate Counsel con l’aiuto di Liz Brown, una “pentita” del passaggio alla carriera in house, ha individuato i tre pregiudizi più comuni:

1. Non dover misurare il proprio lavoro in ore fatturabili significa meno lavoro: “Non è vero” afferma Brown. “La maggior parte degli avvocati che passano alla professione in house sono convinti che il lavoro sarà più facile e meno impegnativo in termini di orario di lavoro. In realtà, se un in house vuole contare davvero nell’azienda ed essere considerato una risolsa, dovrà impegnarsi molto anche in termini di ore supplementari di lavoro”.

2. È un lavoro più stabile: Il dipartimento legale in house è una funzione che solo le grandi aziende possono permettersi. Tutte le altre fanno ricordo ai consulenti esterni. “Se un’impresa dovesse attraversare una crisi economica e avesse bisogno di tagliare dei dipartimenti il team in house sarebbe uno di questi perché sostituibile dagli studi legali esterni” rivela Brown.

3. Niente più litigi: Tra i compiti di un legale in house rientra anche quello di spiegare ai manager che i loro progetti a volte non si possono realizzare perché ci sono dei limiti giuridici e legislativi che lo impediscono. “Si rischia perciò spesso di scontrarsi con le idee altrui e di essere considerati i guastafeste della situazione. Non certo la condizione migliore per instaurare dei rapporti di amicizia” dice Brown.

 

Gennaro Di Vittorio

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